Aula 1.0: una voce dalla prima linea | Prima parte: gli strumenti


È da poco stata pubblicata la prima parte di un mio piccolo contributo per iS,
il periodico di Pearson per l’innovazione didattica – e non solo.

Racconta quasi due anni di esperienza tra tablet (iPad, per la precisione),
lim (lavagne interattive multimediali, di due tipi differenti) e altre cosucce del genere.

Qui il link diretto, e qui sotto il testo completo: buona lettura!

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Rivoluzione digitale, sfida digitale, opportunità digitale. E poi: nativi, immigrati, coloni digitali. E anche: incognita digitale.

Un diluvio di definizioni alfabetiche – e relative a ciò che alfabetico non è – ha inondato il mondo della scuola. Così in diversi si stanno attrezzando, iniziano a sperimentare, pionieri in un territorio inesplorato. Quello che segue è il resoconto di un anno abbondante di viaggio in questa landa relativamente nuova, e niente affatto vergine.

Nell’estate del 2011, in effetti, ho lasciato il mondo della comunicazione (consulenza, design, applicazioni, campagne…) per tornare a insegnare, questa volta in un liceo privato di lingua italiana: Everest Academy, Lugano, Svizzera. Una realtà appena nata, con alcune caratteristiche particolari, tra cui una forte vocazione digitale. Insomma un piccolo “centro di ricerca applicata”, primo in Ticino e tra i primi in lingua italiana, con i pro degli inizi e le relative difficoltà. Insomma partire da 0, per arrivare a 1, senza modelli di riferimento (o quasi), con la ferma volontà di tentare sul serio e, insieme, con l’umiltà di chi ha molto da imparare.

Cominciamo, dunque, sapendo che qui si potrà accennare più che dire. Me ne scuso in anticipo.

Strumenti

Giorno 0, estate 2011: il presidente della Fondazione, Louis Cardona, chiama i docenti a raccolta e affida a ciascuno un iPad, bianco che è una meraviglia. Sorride e dice: faremo il massimo possibile qui sopra.

Ci buttiamo, “matti e speranzosissimi”, alla ricerca del tutto. Una delle grandi speranze sottese è la ricerca della semplicità: non più tanti posti diversi dove tenere i materiali (libri, quaderni, altri strumenti), ma un unico “luogo” dove far stare tutto (con sollievo delle schiene dei nostri ragazzi, naturalmente).

Il libro “di testo”

A cominciare dal libro. Certo, non di carta – ah, l’amata carta – ma l’ebook, quest’oggetto misterioso. E subito emerge un dato rilevante: c’è ancora molto da fare. Penso in particolare agli editori, che si stanno attrezzando per rispondere alla sfida, e che hanno fisiologicamente bisogno di tempo per trovare – speriamo il prima possibile – soluzioni adeguate, pratiche, convincenti.

Mi spiego meglio: alcuni editori hanno messo a disposizione i “vecchi” manuali in versione digitale realizzando un pdf del testo cartaceo. Ora, usare un pdf che nasce in formato A4, cioè con un sistema metrico di base, su un supporto che è concepito in pixel, è un piccolo disastro: estetico, pratico, concettuale. Certo, ci si può adattare, ma il fatto è che prendere appunti, sottolineare, evidenziare… diventano all’improvviso operazioni complicate. Si può fare, certo, ma non è propriamente il massimo.

La svolta arriverà quando gli editori metteranno a disposizione “veri” ebook, nati per essere fruiti sui nuovi media digitali, con tutto ciò che ne consegue, multimedialità e interazione comprese. Per il momento ci si deve un po’ arrangiare, anche se non mancano soluzioni che, a partire dal libro cartaceo, integrano apporti digitali.

Comunque qualche materiale in formato epub – ovvero il formato di ebook più diffuso e “aperto”, fruibile sul tablet ovvero, nel nostro caso, l’iPad – esiste, e proprio da lì siamo partiti. La domanda ora è dunque: gli studenti riescono a studiare con gli ebook (in formato epub)? Risposta: sì. Vedono, scorrono, sfogliano, ascoltano (con cuffie, se sono in aula), sottolineano (comodamente), prendono note a margine, insomma fanno senza particolare sforzo quello che è necessario per “lavorare” su un “testo”. Se vogliono, possono.

C’è ancora un problema, però, e non da poco: l’epub è un formato “liquido” (Bauman ne sarà felice?), cioè il testo non è fissato (stampato sulla pagina) ma l’utente può mutare a piacimento il font (il carattere, in italiano, una parola pregnante per chi viene dalla cultura del libro come lo intendiamo di solito) e modificarne il corpo (le dimensioni): il risultato è che il testo cambia forma sotto gli occhi dell’utente. Questo è una risorsa, perché consente di “travasare” l’ebook in contenitori diversi (cioè in altri supporti con fattori di forma differenti, purché leggano appunto l’epub) ma crea anche un effetto straniante: se il docente dice in aula: Prendete a pagina 10, beh, semplicemente quella pagina non esiste. Esiste certo il testo corrispondente, ma dove, precisamente? Al di là di questa pratica utilità didattica, il problema è soprattutto connesso con la stabilità delle informazioni: chi studia non apprende i concetti nudi e puri, per dir così, ma in maniera associata alla forma “solida” (carattere, colore, posizione…), come una lunga tradizione di ricerca e la prassi quotidiana (quel concetto si trovava su una pagina dispari, in alto a destra…) insegnano. Qui le cose si fanno più rilevanti sotto il profilo della (possibilità della) conoscenza, e mi auguro che gli editori ne tengano conto nelle loro soluzioni innovative in questo campo.

Il PC, o meglio il notebook

Abbiamo anche introdotto l’uso del notebook (a carico delle famiglie, con sostegno, mentre gli iPad sono a carico dell’Academy) a fianco del tablet. A parte l’uso di alcuni software non disponibili per iPad, la ragione principale sta nell’avere due schermi a disposizione per il lavoro dello studente: alcuni preferiscono infatti avere due “punti focali” (o “finestre”) aperti contemporaneamente davanti agli occhi, piuttosto che “switchare” tra un’applicazione e l’altra, senza contare che il multitasking sui tablet è attualmente ridotto e scomodo.

Il nostro presidente usa per questo la metafora del “libro e quaderno”, dove l’iPad è il libro e il notebook il quaderno. È poi vero che non tutto si riesce a fare con i tablet (pensiamo a diversi applicativi, per esempio, che non “girano” su tablet) e dunque vi sono alcuni “compiti” per i quali il tablet non è indicato. In generale, si può dire che, allo stato attuale, il tablet serve soprattutto per fruire di contenuti digitali, mentre il notebook è più orientato alla loro produzione. Per esempio, è più comodo e produttivo stendere un testo su una tastiera fisica, con più spazio visivo davanti (è il caso del notebook), piuttosto che con un tablet (dove la tastiera occupa una parte importante dello schermo). A meno di non pensare ad una tastiera fisica esterna al tablet, che ripropone una sorta di ibrido, con altri vantaggi e svantaggi.

È una nuova sperimentazione, ne seguiremo gli sviluppi. Di sicuro, questo porta a una minore semplicità (si passa da 1 a 2 strumenti), senza dimenticare che la carta non è scomparsa del tutto: alcune verifiche, taluni testi non reperibili altrimenti, qualche studente che la preferisce per gli appunti e lo studio (sì, non tutti sono precisamente “nativi digitali”…), alcune comunicazioni, ecc. Insomma la carta c’è ancora, anche se non è più la regina.

La lavagna interattiva multimediale

L’altro strumento imprescindibile è ovviamente la lavagna, ovvero – digitalmente parlando – la LIM. Anche in questo caso, la corsa ai “formati” proprietari, sotto il profilo hardware e software, è ampia, con conseguente compresenza di modelli davvero interessanti a vere e proprie macchine inutili che “competono” solo con la leva del prezzo. A oggi, abbiamo optato per due tipologie dissimili: una LIM da 87 pollici, con videoproiettore a braccio corto, e una da 70 pollici, senza videoproiettore. Questo secondo modello è più pratico: la funzione video è assolta da un monitor full HD di tipo touch screen (1 utente), per un massimo di due punti di contatto (due dita) che servono per scorrere e zoomare: dimensioni generose e ingombro ridotto per un’esperienza visiva di qualità… ovviamente se si ha qualcosa da mostrare. Ma vedere e sentire Omero che, animato in simil-3D, racconta l’inizio dell’Iliade in greco antico… è qualcosa che gli studenti hanno apprezzato. Il primo modello è meno performante qualitativamente (risoluzione e luminosità più basse), ma consente l’interazione di 2 utenti in contemporanea (docente e allievo, o 2 allievi), con sperimentazioni varie (esercizi, sfide…).

Insomma, anche in questo caso vale l’adagio «chi più spende meno spende», nel senso di disporre di macchine effettivamente utili ed efficaci, sempre a patto di avere qualcosa da usare. A ogni modo, anche solo concepiti in modalità di videopresentazione di contenuti disponibili sul PC del docente – per il momento non abbiamo macchine in comune, ogni docente sceglie liberamente hardware, sistema operativo e software per il proprio notebook – le LIM funzionano. La sfida è comunque quella di far lavorare gli studenti con la LIM, attività per la quale – anche in questo caso – va messa in campo una notevole creatività da parte dei docenti.

Per concludere questa parte, un piccolo appello agli attori più istituzionali del dramma (stato, editori, aziende dell’“informatica” ad ampio spettro…): in aula servono strumenti semplici e immediati (proprio perché il medium è il messaggio…), di cui si possa semplicemente dire: funziona!