The morning of the battle dawned.
William took mass and hung saintly relics around his neck – the very same relics
over which Harold had sworn, two years previously, to be his liegeman.
Next, he donned his armour, only to discover it was back to front.
Some may have taken this to be a bad omen, remembering, perhaps,
the flight of the comet, but the Duke laughed, had his servants turn it around and said:
«Today everything will be turned around and I will no longer be merely a Duke,
I will be a King». And with that, he walked out to meet his troops.

Many remember the speech he made.


A memoria d’uomo, non si era mai visto un inverno così.
La neve era caduta abbondante, rendendo ancora più impenetrabili
le strette vie sugli Appennini. Osservato passo passo dalle guardie della contessa,
il corteo era avanzato a fatica; lo guidavano il re di Germania, Enrico,
con la moglie e il figliolo di due anni. Nel gelo pungente di quella fine di gennaio,
il castello di Canossa si ergeva come un sogno di pietra, bianco scoglio
in un mare di bianco, roccaforte imprendibile in mano a sua cugina.

Ella era la “grancontessa” Matilde, cugina del re e donna più potente d’Italia.
Dai suoi possedimenti sarebbe passato il destino d’Europa,
perché non c’era modo di sfidare il suo potere tra quei recessi della montagna,
dove lei aveva accolto il monaco che si faceva chiamare papa,
quella maledizione vomitata dall’Inferno contro il re di Germania.
Matilde aveva dato rifugio a Ildebrando, alias Gregorio VII, ed Enrico era giunto sin lì
per trattare, per comporre quel dissidio nefasto che lo aveva quasi precipitato dal trono. Ma le porte del castello erano rimaste chiuse.
Gregorio taceva