Secondo papa Ratzinger, «il miracolo della Chiesa è di sopravvivere ogni domenica a milioni di pessime omelie» (fonte qui).
Eppure chiediamoci: l’omelia è importante per la messa?
Secondo me sì, e per le ragioni che seguono (in allegato un mio piccolo contributo appena pubblicato sulla «Rivista Teologica di Lugano»).
Questo l’Abstract:
Nella prospettiva della scienza della comunicazione, l’omelia è una forma particolare di public speaking, vale a dire un monologo. Nelle parole di papa Francesco, invece, essa «non è tanto un momento di meditazione e di catechesi, ma è il dialogo di Dio col suo popolo». Emerge dunque una contraddizione: l’omelia è un dialogo o un monologo? Il contributo mira a rispondere a questa (apparente) contraddizione teoretica e pratica. Posto il fondamento comune dei concetti stessi di “comunicazione” e di “omelia”, l’autore analizza e discute il rapporto tra le diverse parti della Santa Messa e i media – tecnici e umani – protagonisti, lungo il filo delle polarità oralità-scrittura e presenza-assenza. Chiave di volta del ragionamento è la categoria della “testimonianza”, intesa non come “racconto di esperienza”, bensì come “manifestazione” dell’Alterità originaria di Dio, o per meglio dire della Sua presenza umana, visibile, tangibile. Chiudono il contributo una serie di suggerimenti pratici offerti al buon omileta, chiamato a praticare una forma di comunicazione del tutto particolare: il “monodialogo”.
Buona lettura, cordialmente.
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