Benedetto XVI lascia il pontificato. «L’esercizio attivo del ministero».
Lo ha lasciato, oggi.
È una decisione che genera un fatto: libero, sovrano, stupefacente.
Non si rinuncia al potere.
Non si rinuncia alla responsabilità.
Non si fugge dalla fatica.
Sguardo del mondo e sguardo del fedele si incrociano qui.
Tutti siamo smarriti, persino sgomenti.
La mente superiore lascia?
Il padre dismette le sue funzioni?
La carica drammatica del gesto cresce in quello spazio negato da molti – il cuore –,
tempesta dentro, oltre la ragione, si fa nodo e domanda. E parla.
«Le mie forze sono diminuite»: ma non dovrebbero aumentare,
nella quotidiana comunicazione di Dio, con Dio, in Dio?
La Chiesa vacilla. Il pastore fugge. La porta resta socchiusa.
Eppure la Chiesa vacilla da sempre – parola di storico.
I nostri occhi hanno visto questo e altro. È solo la nostra memoria a non esserne edotta.
E allora cosa sta succedendo? Non sappiamo.
Intuiamo però che accade oggi, davanti ai nostri occhi
ben prima che dentro gli spazi aurali, l’ultima lezione del professor Joseph Ratzinger.
Il sovrano pontefice che ha affermato il ruolo primario della verità:
la vera fede è agli antipodi della violenza – tu islam, e fedi altre;
il vero pensiero si apre al, anzi si nutre del mistero ultimo – tu mondo;
il creato e l’eterno si sono veramente incontrati in Cristo – voi fratelli e figli;
e l’uomo vive davvero solo nella luce della verità – noi tutti.
Il successore di Pietro che asserisce il vero
con un tratto intensissimo e sconvolgente di umiltà, che toglie il fiato.
Un testimone di due secoli da spavento proferisce la sua ultima lezione:
Marta – esercizio attivo – sei nobile e grande,
e più nobile e grande è Maria – esercizio passivo, nascosto,
ammantato di debolezza.
Si ricomincia così dalla casa di Lazzaro: colui che è morto, e torna vivo,
mentre i passi del mistero si annunciano alla porta.
Qualcosa che va forse oltre il mondo, pur restando nel mondo.