«Quando ancora gli si dice, dopo quindici anni di ingiunzioni, “Cammina dritto!”,
che cosa gli si comunica? Un ordine, un richiamo, una esortazione,
un alibi per continuare noi a sperare, una delusione, un rimprovero, una punizione?
Spesso ho notato nel suo sguardo qualcosa di diverso dalla insofferenza,
una atroce noia dissimulata dalla pazienza.
Se finalmente in vacanza si diverte con il suo gruppo di volontari,
dove lo accettano con allegria, senza volerlo cambiare, dobbiamo chiederci il perché.
L’imperativo occulto dell’educatore, secondo Droysen, viene compendiato da poche, silenziose, concilianti parole: “Tu devi essere come io ti voglio,
perché solo così io posso avere un rapporto con te”.
C’è da stupirsi che Paolo sia felice quando non viene più educato?».
Così Giuseppe Pontiggia in Nati due volte (Milano 2002, pp. 216-217).
E cosa accade, nel mondo della scuola, se sostituiamo il ragazzo disabile – Paolo, figlio secondogenito di Giuseppe – con lo studente che abbiamo davanti
e l’imperativo esplicito con la parola «Studia!»?